COCCOLATA DALLA LUNA
- Io, lì, non,
ci, entro. – inserisco una virgola dopo ogni parola. Non inseguo regole
grammaticali, soltanto la mia paura.
- Io. Lì. Non.
Ci. Entro. – ripeto la frase convinta che i punti abbiano maggior efficacia.
Non era un discorso di pausa lunga e pausa breve? In questo modo regalo ai
presenti il tempo per comprendere e metabolizzare il mio rifiuto.
Però nessuno
fa caso a me. Ridacchiano e si gettano fra le fauci di quell’acqua gelida. Io
avanzo fino a farmi sfiorare dalle onde delicate, poi retrocedo. Troppo freddo.
Ancora nessuno
fa caso a me. Continuano a ridere mentre entrano nell’acqua della pozza che si
forma e continua a rinnovarsi in quel punto del torrente Meledrio. Un’avventura
giungere qui, di sera, quando le luci del giorno iniziano a declinare e gli
ultimi raggi del sole ti salutano rimanendo lassù in alto, liberi di muoversi
nel caldo dell’aria di fine agosto. Liberi appunto. Io al contrario non lo
sono. Ho accettato di venire in questa valle a vedere la meravigliosa cascata
del Pison. Uno spettacolo, una visione paradisiaca per illuminare le vacanze,
arricchire la giornata, appagare i sensi. Concordo su tutto. Fin quando il
furbo del gruppo, quel cretino di Sebastiano, se n’è uscito con la proposta:
- Entriamo in
acqua fin sotto la cascata?
Il mio “Sei
scemo” è stato inghiottito dalle urla felici di tutti i componenti del gruppo.
Di tutti, nessuno escluso. Tranne me. Allora ho lasciato agli altri questo
divertimento, ho lasciato a chiunque lo volesse di poter entrare prima di me e
alla fine, quando ormai non avevo nessuno in fila ad attendere, ho declinato.
E adesso? Sono
ferita perché mi lasciano fuori dai giochi? Certo non voglio andare ad
abbracciare quel rovescio, certo non voglio bagnarmi e gelarmi per quanto la
temperatura fuori da questa gola sia decisamente favorevole, certo non
voglio…essere ignorata.
Eppure lo
sono. Nessuno ha cercato di convincermi, di capire le mie ragioni, di
affiancarmi nel momento in cui ho messo l’alluce destro in acqua convinta di fargli
incontrare flussi e riflussi che non ha trovato dal momento che appena oltre
l’orlo dello schianto della cascata la superficie si fa sempre più tranquilla,
almeno dove siamo sistemati noi. Forse dalla parte opposta permane il movimento
visto che è lì che il torrente prosegue il suo cammino. Noi veniamo appena
lambiti dai balzelli degli spruzzi, nemmeno bagnati. Solamente ghiacciati nel
momento in cui si entra. Ma, a guardare i compagni di avventura, questa
considerazione vale esclusivamente per me.
La luce sta
scemando, i rumori diurni si trasformano, le ombre avvolgono piano piano, ma in
modo inesorabile, le comparse di questo spettacolo. Ancora un po’ e riuscirò a riconoscere
gli altri dalla loro voce. Li intravedo, ma sono consapevole che non sarà per
molto. Nessuno si fa carico di questo pensiero. Riprovo ad entrare? Perché? Per
imporre la mia presenza? Per poter raccontare che c’ero anch’io e che è stato
divertentissimo? Ma io non mi sto divertendo. Sono sola. Io con il mio riserbo
di fronte al freddo. Il senso di colpa e di inadeguatezza inizia ad
arrovellarmi, a mulinare nello stomaco, ad uscire dagli occhi. Piango.
E ancora
nessuno se ne accorge.
Poi sento
Sebastiano che mi chiama con un tono di voce soave volto più a non spaventare
eventuali animali selvatici che non ad accarezzare me.
- Ehi, tutto
bene?
Come faccio a
confessare i pensieri degli ultimi venti minuti? Di soppiatto mi asciugo gli
occhi sperando che non se ne accorga. Io, del resto, riesco a vedere i suoi
contorni, per il viso si dovrebbe avvicinare ancora un po’. E lo fa. Mi accarezza.
Proprio il più furbo del gruppo, il dissacratore, quello che infrange le regole
prima ancora che vengano stabilite. Quello, in poche parole, che fa ridere
tutti. Me compresa. Però non sono pronta a confessare le mie debolezze. Non a
lui.
- Credo tu sia
la più intelligente. Domani noi saremo a letto con la polmonite e tu riderai,
sana e felice. Probabilmente la tua è stata la scelta migliore.
Allora non si
sono dimenticati di me, non mi hanno giudicata male per non essere entrata, non
hanno puntato il dito sulle mie paure. Hanno semplicemente pensato a una scelta
diversa. Ops. E adesso che Sebastiano me l’ha detto, perché mi sento così bene,
invasa da un calore che potrebbe indurmi a…
Un chiarore
attira la mia attenzione. La pozza d’acqua sembra animata, abitata da uno
spirito, forse dall’anima del bosco. Fluttua, vibra, stimola il mio interesse.
Il riflesso della Luna mi cattura. Notte di plenilunio, nessun licantropo
all’orizzonte. Sebastiano si siede accanto a me, in silenzio. Io non riesco a togliere
gli occhi da quella sfera lattescente, luminosa, perfetta. E anch’io mi sento
così per il solo fatto di poter godere della sua presenza. La sfera si espande,
sembra uscire dall’acqua per avvicinarsi a me e seppure io comprenda che è frutto
della mia immaginazione, non posso fare altro che rimanerne affascinata. Mi
sento abbracciata, accolta, coccolata. E la sensazione è dolce, piacevole e
rassicurante. Come non mi sentivo da tanto tempo. Sebastiano sembra condividere
il mio stesso sentire, si accosta a me, sembra sul punto di mettermi una mano
sulle spalle, ma io, nel timore o nella speranza che ciò accada, mi alzo e mi
dirigo verso il bordo della pietra sulla quale sono stata seduta. Gli altri
sono in mezzo all’acqua, non sono ancora usciti nonostante la temperatura sia
scesa assieme alla sera. Qualcuno danza in mezzo alla mia luna, ma non sono
sicura di riconoscere le figure che si stanno divertendo. Io mi sento in uno
stato di pace anche se non riesco a definire le mie sensazione né a dare corpo
ai miei pensieri. C’è soltanto Lei e io mi muovo verso la sua luce con calma e
rispetto. Catturata dalla sua aura, dal suo potere, mi muovo lentamente. Scendo
dalla roccia ormai fresca, entro nella linfa vitale di quel luogo. Non
considero gli alberi, i fiori, le erbe e nemmeno gli scorci pittoreschi creati
dallo scorrere dell’acqua. Ormai sono magicamente attratta dal riflesso lunare
che mi spinge ad andare da Lei, nel suo cuore, a danzare.
- Sei unica. –
commenta Sebastiano che mi ha raggiunta senza che me ne accorgessi – Quando
pensavano tutti che tu fossi la più intelligente a non accogliere il mio invito
a farci tormentare dall’acqua gelida, ecco che entri. Adesso che è ora di
rientrare. Lo ripeto: sei unica. Ma io l’ho sempre saputo.
Le parole di
Sebastiano mi colpiscono, tutto il discorso. Nessuno aveva voluto escludermi,
era soltanto il frutto dei miei arzigogoli mentali. Mi ritenevano pure furba, o
meglio, intelligente per non aver seguito il suo suggerimento. Ed io ho toppato
verso la fine, ma non mi importa. Voglio soltanto sentirmi coccolata dalla
Luna, percepire il suo abbraccio. Allora entro nel suo cerchio, nel suo
riflesso e lì rimango, abbracciandomi e, incurante sia di ciò che potrebbero
pensare gli altri sia del freddo che ci sta avvolgendo, riprendo a danzare. Non
sento nulla se non la gioia per il momento che sto vivendo e scoprire che tutti
si uniscono a me è sbalorditivo. E lo è anche l’invito di Sebastiano - il
furbo, il cretino, lo scemo - a uscire insieme. E io accetto.
Ho visto l'alba nei suoi occhi
L’ombra
appare fugace nel riquadro della finestra poi viene inghiottita dal buio della
notte. Ilaria lascia che lo sguardo corra ad accarezzare le cime che
incorniciano il rifugio Antermoia. Fissa una stella, in fondo, oltre l’ultimo
crinale. A ovest.
Sospira,
lascia la camera da letto e scende al piano terra. Con dolcezza per non fare
rumore gira la chiave, grossa, vecchia e con un velo di ruggine. Dischiude
l’uscio in legno massiccio ed esce. Prova a testare la sensazione del pavimento
in pietra sotto i piedi infilati in calzettoni di lana mélange, morbida e soffice. Fresco, accettabile, quasi gradevole. A
sinistra, gerani rossi occhieggiano da giare in ghisa, a destra lettini in
ordine sparso attendono ospiti desiderosi di godersi il tepore del sole.
Accostato al muro uno sdraio esibisce un tartan.
Ilaria accarezza la stoffa che si rivela tiepida per il calore rilasciato dal
muro che al suo interno accoglie il caminetto incaricato di riscaldare il bar. Raccoglie
il plaid, lo sistema bene a coprirsi
le spalle e la schiena, ci si coccola dentro. Si siede. Libera i capelli che
scendono in una cascata di onde morbide. Ancora una volta Ilaria lascia lo
sguardo libero di ammirare la vetta innevata della Marmolada e immagina il
mondo meraviglioso che popola quelle rocce. Animali che sfidano la legge di
gravità e portano il loro verso su speroni impervi, fiori che dopo aver vinto
la battaglia per la sopravvivenza indossano abiti dal colore vivido a
testimonianza della loro esistenza. Ai suoi piedi la valle è nascosta da nuvole
che sono dilagate ovunque fino a riempire ogni anfratto. Le nascondono la
vista, ma le regalano magnificenza. E lei accoglie quello spettacolo intonando “My heart will go on” un motivo che da
sempre associa ai momenti di riflessione quando si ritira in un angolo del suo mondo
e lascia che passioni, idee, pensieri vadano nella direzione migliore. Anche
adesso respira, guarda, canta. E aspetta.
Ciò che
non prevede è di sentire il viso che si bagna. Ciò che non prevede è di sentire
una lacrima che traccia la sua strada. Attende un pensiero negativo, un pizzico
di inquietudine. Niente. La lacrima le solletica la guancia e la fa sentire
libera di assaporare le emozioni, libera di provare gioia. Le montagne le
regalano protezione, l’immensità di nuvole la ammalia. Una sensazione che i
suoi sedici anni apprezzano, una sensazione piacevole che lei si autorizza a
provare e a godere.
- Che
cosa fai qui da sola?
Ilaria
sussulta. Non si era accorta di essere stata raggiunta da Mattia, un coetaneo
conosciuto durante quel trekking fra dolci pendii e armoniose pareti scoscese.
Sorride. A lui, al suo ciuffo impertinente, ai suoi occhi verdi. Nello sguardo
del giovane c’è tutto il mondo dell’adolescenza e nonostante non sia sempre
facile leggervi in profondità, Ilaria ci è riuscita fin dalla costituzione del
gruppo che avrebbe passato una settimana a vagabondare per le valli e le cime
del Catinaccio, del Sassolungo e dello Scilliar.
- Non
sono sola. Adesso. – commenta Ilaria con voce lieve. Quel ragazzo con cui è
entrata in sintonia si è rivelato una compagnia interessante anche quando fra
di loro c’è il silenzio. Sulla corriera, durante le camminate, di sera a cena o
davanti al caminetto acceso, ogni volta accoglieva messaggi non detti, emozioni
non espresse.
-
Guarda… - le suggerisce Mattia mentre indica le cime che a est si tingono di
tonalità impazienti di trasformarsi in un’esplosione di colori. L’alba, il
momento della rinascita, è lì per loro. E loro possono lasciarsi avvolgere
dalla luce tenue che vivifica ogni aspetto del paesaggio.
Ilaria
si alza e gli sorride. E lui ricambia.
Sono
vicini, in attesa che si completi un fenomeno millenario, unico. Con
l’attenzione rivolta all’altro, in un abbraccio reciproco, vivono una magia
fatta di silenzio, condivisione, natura. L’alba accende di rosa, indaco e oro
l’atmosfera rarefatta del mattino, accende i loro occhi, il loro cuore. Le mani
si cercano, si trovano. Lo spettacolo continua a svelarsi alle loro spalle e a
riflettersi nell’iride iridescente dei due giovani che scoprono un miracolo ancor
più vicino delle montagne che, ignare dell’incantesimo che lì si sta
producendo, continuano a incendiarsi e a incorniciare il rifugio.
IL SAPORE DELLA VITA
L’ulivo che
le sta di fronte avvolge di tenerezza i suoi pensieri. Le foglie dal verde
delicato ondeggiano e mascherano a intermittenza le vele bianche che solcano il
lago.
Quando
abbassa lo sguardo, però, vede mani nodose, dai movimenti difficili e
articolazioni il cui freddo unisce interno ed esterno. Capelli bianchi, sguardo
spento. Una donna che osserva e piange per ogni spicchio di vita non gustato.
Il passato è
una zavorra, il futuro talmente diafano da non solleticare la speranza. Il
presente? Mai esistito.
A denti
stretti riconosce, mentre con morsi impotenti cerca di afferrare ricordi
piacevoli, che ha vissuto lacerata, tra l’ieri e il domani, come un Giano
scollato da se stesso perché in assenza dell’oggi. Dell’ora. Dell’adesso.
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