Scrittura

Scrivere un racconto breve


Un racconto breve? Come si scrive?


Ritengo ci siano tre modi – e qui si potrebbero sentire urla provenire da chi non è d’accordo.



1° Ho un titolo e poiché questo rappresenta un argomento del quale parlare, beh, inizio a parlare. D’accordo, a scrivere.

2° Volete un consiglio più strutturato? Allora leggete più volte il titolo, proprio come si faceva con i temi scolastici. Potete fare una mappa inserendo tutto ciò che vi viene in mente, collegamenti compresi. Poi pensate alla suddivisione classica del testo – anche qui memoria scolastica:

INTRODUZIONE: presento il dove e il quando nonché il protagonista

PARTE CENTRALE O SVOLGIMENTO: arrivano il che cosa, il perché e il come

CONCLUSIONE: la fine della storia

In questo modo, da un contesto che vede la mia mano raccogliere e fermare sulla carta ciò che arriva dalla mente (idee, pensieri) e dal cuore (emozioni) mi sposto verso una tipologia di lavoro più strutturata. A certe persone è necessario poter usufruire di un contenitore da riempire e questo è diviso in tre parti.

3° Mi siedo, scruto nella mia mente e guardo quale scena si presenta. Oppure prendo in considerazione una frase sentita, una conversazione “rubata”. Poi inizio a scrivere allargando la scena, aggiungendone altre, descrivendo il film che si sta compiendo in me. Alla fine, in base a ciò che è uscito – e talvolta si trovano dettagli che stupiscono – penso al titolo.

Quale metodo utilizzo io? Beh, li ho sperimentati tutti e tre e ancora adesso passo dall’uno all’altro anche se la strutturazione del secondo la applico in maniera ormai automatica senza più chiedermi dove finisce una parte e inizia l’altra.


E voi?




Esercizio di scrittura

Vi offro una fotografia, ma poiché non voglio usare persone conosciute, metto la copertina del mio libro togliendo titolo e casa editrice.

Soltanto il volto. Voi potete guardarvi in giro e usare la foto di qualcuno i cui tratti fisiognomici vi incuriosiscono, ma, vi prego, non usate persone che conoscete e nemmeno personaggi famosi perché in entrambi i casi siete influenzati da quanto è già in voi.






E adesso guardate quel viso, portate la vostra attenzione allo sguardo. Penetrate in quelle iridi. Sì, anche se sono stampate sulla carta. Evitate una descrizione oggettiva dei particolari, non siete a scuola! Scrivete, invece, quello che vi suggeriscono.
Buon divertimento.


Il mio potere


Nell’articolo “Dove faccio ricerche”, pubblicato il 1° ottobre, nomino un periodo, nella stesura di un romanzo, che chiamo del mio potere. È l’intervallo fra l’incipit e il momento delle ricerche, anche se la sua durata è variabile.

Quando inizio a scrivere non ho un piano, scrivo e basta (di come scrivo palerò prossimamente). Decido io se i personaggi sono in una cucina o in un giardino. Ascolto il lavorio della mia mente e capto ciò che arriva poi stabilisco – razionalmente – se ci sono sedie di vimini o di ferro, se il protagonista ha i capelli rossi o ricci. Più che delineare personaggi, ambienti e trama, ne fornisco un abbozzo, qualche tratto per creare una cornice fissata sulla carta attraverso le parole. A questo punto ho bisogno di avere fotografie quindi sfoglio riviste, mi guardo in giro e prendo nota. Nel frattempo, però, la creazione procede. E decido sempre io!

A un certo punto, con davanti il volto dei personaggi (con i quali porto avanti conversazioni che vi farò provare in un prossimo articolo) e le fotografie dei vari ambienti, la storia ha una propria base. Ho, magari, iniziato a fare ricerche in sordina perché non ho ancora chiaro chi fa che cosa, né dove lo fa. Però la trama viene decisa da me. Io scelgo dove va la protagonista, chi incontra e che cosa dice a suo marito. Mi diverto. Mi sento la padrona delle pagine che si accumulano nel computer.

Poi tutto finisce. Arriva un giorno in cui mi siedo alla tastiera convinta di manovrare tutti come un burattinaio, ma ecco la sorpresa. Ciò che esce e va a colorare la pagina, parola dopo parola, sembra indipendente da me. I personaggi acquistano vita propria, io smetto di mettere in campo il mio potere e seguo ciò che succede con la fortuna di essere in prima fila allo spettacolo della creazione. Accendo il computer e muovo le dita sulla tastiera per scrivere, ma anche per scoprire che cosa succederà nel capitolo successivo.


Perdo il mio potere, ricevo una storia. Sì, perché questo è il momento in cui capisco che ciò che ho creato funziona. Allora intensifico le ricerche, faccio mappe e schemi, cerco foto, parlo…ma questo è l’argomento di un altro articolo.


Dove faccio ricerche


Entro in una biblioteca e il mio cuore accelera. Davanti a me, su scaffali più o meno alti, si dispiega il sapere.

Quando lavoro a un libro, parto con le ricerche? No. Non programmo un periodo di ricerche prima di costruire la storia. Non abbozzo la trama né costruisco i personaggi. Questo viene dopo. Almeno per me. Io inizio con la scrittura. Mi siedo e scrivo. Poi, però, arriva il momento delle ricerche. Fra l’inizio e questo momento c’è il periodo che chiamo del mio potere (del quale parlerò prossimamente). Decido io. Comando io. Gestisco io trama, ambiente e personaggi. Dopo il mio potere si dissolve.

Ritorno alle ricerche.

In biblioteca.
1.    Cercare la sezione opportuna (in questo momento passo da 940 per il Medioevo al 133 per la Magia).

2.    Accostarsi a un ripiano.


3.    Scorrere i titoli e afferrare la cultura.

4.    Aprire il volume.

In questo modo si entra in contatto, talvolta è una collisione, con il Sapere, cercato, accolto, studiato, masticato e sputato sotto forma di parole, frasi, testi, riflessioni, interrogativi, risposte e molto altro. E questo lo ritengo un patrimonio a disposizione di tutti, gratuito, in grado di accrescere la cultura di una persona e di farla viaggiare, nel tempo e nello spazio. Per uno scrittore rappresenta anche la fonte – meglio dire una fonte – cui attingere per costruire una base solida, vera, reale o verosimile, sulla quale collocare la storia e far muovere i personaggi.

E le altre sorgenti di informazioni?

Io navigo in rete anche se talvolta più che navigare annaspo. Pur non essendo super tecnologica sono cosciente delle immense e innumerevoli stanze del sapere, ma so anche che in quelle stanze ci si può smarrire. Si trova scritto di tutto e il suo esatto contrario. Occorre valutare, fare ricerche incrociate, leggere, confrontare, farsi un’idea senza pregiudizi. Ma ritengo che lo stesso procedimento vada attuato anche con il cartaceo. Un autore è informato? Ciò che scrive è da considerarsi “vero” e quindi utilizzabile? Anche in questo caso occorre sfogliare più opere, confrontare e, sempre, valutare “chi scrive che cosa” a esempio sbirciando fra la biografia proposta e quindi, si spera, consultata.

Per ultimo, di certo non per ordine d’importanza, c’è l’ascolto diretto, il chiedere a una persona esperta. Fin dalla stesura di “Risalire la china” ho capito che interpellare chi è esperto in un argomento o in un settore rappresenta un aspetto entusiasmante del lavoro dello scrittore. Talvolta i libri non forniscono le informazioni di cui si ha bisogno. Mi spiego meglio. Due anni fa ho terminato un romanzo ambientato a Merano, in provincia di Bolzano, le cui vicende narrate partono dal 2012 e arrivano, a ritroso, agli anni antecedenti la Seconda Guerra Mondiale. Nel rapporto che si era venuto a instaurare fra tedeschi e italiani mi interessavano le dinamiche quotidiane legate alla convivenza di due etnie sullo stesso territorio. Allora ho contattato degli storici i cui nomi appariranno in fondo al libro, nei ringraziamenti, nel momento in cui verrà pubblicato.

Fare ricerche mi è piaciuto fin da subito perché ho realizzato che avrei incrementato anche il mio sapere e non soltanto reso più solido un libro.


Ho dimenticato qualcosa sul mondo delle ricerche?


Esercizio di scrittura

Questa volta sarò breve: ehi, è agosto anche per me!
Scrivete, sul quaderno che avete deputato alla scrittura, tre o quattro parole che vi attirano. Vi do le mie:

acqua                   Luna                   armonia                 ciondolo




Iniziate a leggerle, una alla volta, con calma. Ripetetele, sempre una alla volta, sia lasciando un po’ di tempo fra l’una e l’altra sia una di seguito all’altra.

Si formano immagini? Idee concatenate come se steste creando un brainstorming? Oppure in voi vibrano emozioni?

Ottimo, scrivete di questo, non delle parole, ma di quello che smuovono e creano in voi.

Poi archiviate.

Potreste avere bisogno, fra un paio di mesi, di una riflessione interessante da “mettere in bocca” a un personaggio.


Buona scrittura e appuntamento a inizio settembre



Fare ricerche

Non mi riferisco soltanto al cercare informazioni per creare le basi per uno scritto. Quando uno scrittore “fa ricerche” si pensa stia progettando i caposaldi su cui costruire trama e inserire il gioco seguito dai personaggi. È vero, ma, secondo me, il discorso non si limita a questo lavoro mastodontico seppure interessante.


Sto lavorando a un nuovo libro. Argomento delle ricerche: il Medioevo, in particolare la storia di Firenze e dei dintorni – per collocare i personaggi – e il mondo misterioso e magico che ho scoperto aver continuato a vivere e a incendiare gli animi di chi, a dispetto delle apparenze, viveva nella consapevolezza di un “oltre”. Queste informazioni creano le mie fondamenta, ma non esauriscono il “fare ricerche”.





In che senso?

Nomino un fiore? Una sfumatura di colore? Inserisco il momento del the? Bene. Ricerco!

Che cosa?

1. Il nome preciso del fiore, magari indagando anche sul suo significato simbolico per donargli maggior spessore ed espressività e sulle sue caratteristiche botaniche.
2. Non scrivo semplicemente “blu”, ma “blu di Persia”, “ceruleo” oppure “denim
3. Entro nel dettaglio e parlo di Earl Grey servito in tazze Meissen

Inoltre, se mi documento per essere più precisa, imparo, accresco la mia cultura
Ecco che cosa intendo per fare ricerche.

Talvolta, ed ecco un aspetto che dal mio punto di vista è magia pura, mi arrivano informazioni senza che le ricerchi. Se mi piacciono e stuzzicano la mia curiosità, catalogo, archivio. E un giorno uso.

* Non ho parlato di dove faccio le mie ricerche. Alla prossima occasione, a un articolo futuro.*


E voi come la pensate? Che cosa sono, per voi, le ricerche?


Archivio

Si scrive, si progetta, si rielabora, si revisione, talvolta si straccia e si rifà. E poiché si rifà, perché non eliminare quanto ritenuto inadeguato al proprio obiettivo?

NO!
NON BUTTATE VIA NIENTE!
ARCHIVIATE!

Ognuno di noi ha un metodo per conservare documenti, fotografie, collezioni, cartoline, ricordi in genere.

L’archivio di uno scrittore assume un ruolo importante perché testimonia le fasi di un lavoro, ma  non soltanto per questo. Io correggo tutto sul cartaceo per cui ho uno scatolone – archivio con il materiale di ogni libro scritto e in più un archivio diviso in tre parti:

* SCUOLA
* PRODUZIONE
* ARCHIVIO

Ho acquistato tre raccoglitori che affiancati riproducono un quadro di Van Gogh.

Nel primo, SCUOLA, ho inserito ciò che ho imparato parlando con chi era più esperto di me in campo letterario. In altri casi ho appreso “trucchi” da letture di autori che hanno steso regole sulla scrittura (talvolta delle cavolate pazzesche, ma rimango dell’idea che qualcosa si può sempre imparare). Anche in un articolo che apparentemente non ha nulla da spartire con la scrittura si possono trovare degli spunti. Oppure in un film.

Il raccoglitore n° 2 contiene la mia PRODUZIONE: ogni scritto, anche se ridotto a poche righe, io lo tengo. Guardo un tramonto dalla finestra della mia cucina e fermo sulla carta le emozioni o come le sfumature di arancione impazziscono in cielo? Bene, mi può tornare utile in un romanzo ambientato in un luogo qualsiasi. Prendo qui, scrivo, archivio, uso là.

Il terzo raccoglitore l’ho definito proprio ARCHIVIO e raccoglie foto e immagini. Le prime scattate da me, le seconde raccolte un po’ qua e un po’ là, spesso con l’unico scopo di usarle nella descrizione. Alcuni anni fa avevo raccolto da una rivista alcuni abiti femminili che mi piacevano. Adesso, andate a leggere come si veste Roberta in “Serendipity” e saprete che tipo di abbigliamento avevo nel mio archivio!




P.S. Alcune frasi sentite o lette, ma scritte da altri, possono pizzicare le corde delle nostre emozioni e piacerci a tal punto da ricopiarle. Fatelo, ma trovate il modo – io uso una sigla – per distinguere ciò che è vostro da ciò che è di altri.




Esercizio di scrittura

Scrittura creativa? Scuola di scrittura creativa? Perché? Di scrittura, punto. La creatività non è prerogativa di uno scrittore o aspirante tale. Mai sentito dire “Scuola di scultura creativa”. La creatività è insita in ognuno di noi, qualunque sia la professione.

Ritorno, quindi, al titolo dell’articolo, privato del sostantivo “creatività”, e propongo un esercizio.

Guardate questa foto





Che cosa si potrebbe scrivere? Non c’è dubbio che a molti verrebbe da descriverla partendo dal generale al particolare o viceversa.

I miei suggerimenti, invece, sono questi:

1.    Chiudete gli occhi e sentitevi lì, con il fresco dell’acqua che solletica gli alluci e la brezza di quel verde che rigenera e porta benessere (la cromoterapia aiuta!), accarezza o frusta il viso. Scrivetene rimanendoci dentro, con l’immaginazione se non siete mai stati vicini a un ruscello come quello catturato dalla fotografia. E cercate di usare i cinque sensi. Immergete una mano nel flusso delle gocce fredde che arrivano dai monti a fondovalle, toccate i sassi levigati da anni di passaggi bagnati e rivitalizzanti, scrutate i giochi di luce fra erbe, ciottoli e piccole cascate, raccogliete un sorso d’acqua nella mano a coppa e sentitene il sapore e, infine, come faccio quasi sempre io, registrate il suono (uso il cellulare, ma ultimamente ho acquistato un registratore vocale)

oppure

2.    Guardate la fotografia - potete farlo anche con il paesaggio che sta fuori da casa vostra o dall’ufficio – e lasciate andare la mente. Cogliete le idee, i pensieri e le emozioni che arrivano e scrivete di questi. Sarete impressionisti della scrittura. (sul questo punto ritornerò in un articolo di agosto)


Buon lavoro e fatemi sapere 




PERCHÉ SCRIVERE?

Perché scrivere… Riprendo il titolo senza punto di domanda, ma con i puntini di sospensione che aprono su un interrogativo direttamente collegato a una voragine. Non è mia intenzione partire dal pessimismo e dalla negatività, soltanto essere pratica ammettendo di aver sviscerato questo quesito innumerevoli volte.  E, innumerevoli volte, di non essere approdata a una risposta unica e ferma.

1.             Scrivo perché mi piace
2.             Scrivo perché mi rilassa
3.             Scrivo perché mi fa sentire importante
4.             Scrivo per la fama, per il denaro

Potrei continuare così, ma mi sembrerebbe di ricalcare le orme di Natalie Goldberg autrice che ho già citato e che ritengo straordinaria.

Ritorno a me stessa:
                  
“Perché scrivo?”




Scrivo perché…
* Attraverso la scrittura ho sempre indagato la mia stessa esistenza sia sotto forma di riflessioni (magari poi le strappo, ma in quel preciso momento esprimono sensazioni che se represse potrebbero causare un geyser interiore alquanto pericoloso) sia nella creazione di un personaggio.

*Attraverso la trama di un romanzo posso sviscerare e approfondire argomenti che mi affascinano: a esempio ciò che riguarda l’energia e le vibrazioni con Sguardo di Donna oppure quanto di esoterico è fluttuato attraverso il Medioevo con il libro al quale sto lavorando. Ho l’opportunità di fare ricerche e acquisire informazioni.

* Attraverso la cura dei dettagli e delle descrizioni entro nella storia e beneficio degli ambienti e degli oggetti che lì vengono usati. A casa mia non ho un caminetto, ma quanto mi rilasso quando lo faccio accendere a Roberta, protagonista di Serendipity! Non ho mai vissuto in un tipico casolare toscano, ma girare con Michela, protagonista di Risalire la china, per le stanze della signora Gina, beh, è come essere lì. Questa è la magia della scrittura.

* Un valore aggiunto, almeno secondo me, è l’evasione. Quando scrivo entro in un’altra dimensione e che sia per una riflessione o per svago, quando ne esco sono rigenerata nello spirito perché ho staccato dalla quotidianità e arricchita nella mente perché qualcosa da imparare c’è sempre.


E voi? Perché scrivete?




LA PUBBLICAZIONE

Nota dolente, un gatto che si morde la coda. “Ha pubblicato qualcosa?” Ecco la domanda che ogni scrittore si sente porre quando si presenta al suo primo editore e che ogni persona alla quale riveli di scrivere non vede l’ora di presentarti. Quindi, devo aver pubblicato per essere presa in considerazione, ma se nessuno pubblica i miei lavori, se nemmeno accetta di valutarli, come faccio a partire?
Io sono stata fortunata perché la pubblicazione del mio primo romanzo -“Risalire la china” - è stata realizzata per opera di una vicesindaco che ha creato il progetto “Scrittura al femminile”. (Ahimè, l’amministrazione comunale successiva ha usato la spugna per cancellare qualsiasi traccia del progetto, ma io intanto ero partita!)
Ma torniamo all’argomento dell’articolo: come pubblicare.
Secondo le mie ricerche ci sono queste strade: self, altri, altri con sponsor.
1.    Self: io scrivo il libro, creo copertina o pago un grafico – se non ho un amico che lo faccia al costo di un caffè – impagino e poi…
a)    Porto in una casa editrice che facendomi pagare il tutto mi consegna il libro. Se sono fortunata potrebbe organizzare la distribuzione, in caso contrario mi devo arrangiare (queste sono le tipografie che per un motivo a me sconosciuto vantano il titolo di casa editrice. Una truffa nascosta dalla scusa del “non investo perché tanto oggi non legge più nessuno”).
b)    Cerco una tipografia che stampi in digitale (anche alcune librerie lo fanno) così posso contenere i costi e nonostante abbia una qualità inferiore, almeno secondo me, posso iniziare a promuovere e a vendere il mio libro e, con i soldi guadagnati, procedere con la stampa tradizionale (magari nel frattempo il mio lavoro viene notato e richiesto!)
c)    Uso gli strumenti e i canali della rete e faccio tutto io, creando un prodotto da pubblicare online.

2.    Altrui: il classico, la casa editrice tradizionale che prende in considerazione il tuo libro, lo valuta e ti fa una restituzione. Se positiva, accetta di pubblicarlo. E qui inizia un iter che passa dalla lettura, condivisione e firma del contratto, all’approvazione della copertina (attenti, non tutti gli editori accettano che l’autore partecipi a questo momento) fino alla correzione delle bozze (la lettura dell’autore ha uno scopo diverso rispetto a quella di un correttore professionista)

3.    Altrui con sponsor: questa modalità mi era stata consigliata da un editore quando mi muovevo per far pubblicare “Risalire la china”. È stato un consiglio prezioso: cercare, prima di andare in stampa, uno sponsor, qualcuno che ti garantisca l’acquisto di un tot di copie in modo da coprire tutte o in parte le spese.


Spero di essere stata utile: voi che cosa pensate di questo argomento?



Il valore di uno scrittore



Durante una conversazione con un collega scrittore, mi sono trovata ad affrontare una questione davvero interessante:

“ Chi o che cosa stabilisce il livello professionale di uno scrittore?”


1.    La scrittura sistematica? E se gli scritti, anche in un plico voluminoso, rimangono nel cassetto e non vivono una loro vita indipendente?
2.    La pubblicazione? La pubblicazione di quanti libri ti permette di affermare che sei uscita dalla Terra di Mezzo? E non parlo di quella del Signore degli Anelli!
3.    Le vendite? Quale numero di copie stabilisce il confine fra essere e non essere? Coprire eventuali spese? Pubblicare con case editrici famose? Vivere con i ricavi delle vendite?
4.    Le recensioni? Ricordo un articolo di Roberto Carnero, “Giovane e subito banale”, apparso sul n° 40 il 10 febbraio 2013. Nonostante un commento per nulla positivo mi chiedo quanto comunque sia stato vantaggioso per la collega in questione il fatto di essere citata su un giornale del livello della Domenica del Sole 24 ore.
5.    L’essere conosciuto? A livello locale? Nazionale? E se la stampa non aiuta? Pubblicità auto-referenziale?
       Quindi ritorno al quesito: “ Chi o che cosa stabilisce il livello professionale di                  uno scrittore?”
Quando un’opera viene valutata valida dal lettore (non parlo del gruppo ristretto di amici), ma non “buca”, che cosa non funziona? Il caso? La casa editrice che non ti supporta nel dopo-pubblicazione? La stampa? L’apparato pubblicitario? O l’autore? Lavorare con carta e penna e affinare gli strumenti via via che si cresce professionalmente dove ti porta? Soltanto alla soddisfazione personale? Lasciare gli scritti nel cassetto e accontentarsi di coltivare la scrittura per passione senza trasferirla in un contesto lavorativo? Non parlo di una professione che permetta di vivere con i proventi delle vendite, privilegio di pochi eletti. Parlo e chiedo della strada che devono percorrere gli altri, quelli che scrivono per passione e pur arrivando a risultati positivi rimangono confinati nella Terra di mezzo a guardare l’esplosione di libri “buttati” on line oppure dalle Cinquanta sfumature.



Voi, secondo quali parametri valutate la professionalità di uno scrittore?



LUOGHI IN CUI SCRIVERE

In casa ho uno studio con scrittoio e libreria a tutta parete. Anche in cucina ho un tavolo e pure in sala da pranzo. Raramente uso una di queste stanze quando devo realizzare una storia.

A casa il mio ruolo di scrittrice si esplica soprattutto nelle correzioni – rigorosamente sul cartaceo – l’organizzazione del materiale, la gestione di posta elettronica e mail. L’aspetto creativo lo lascio ad altri luoghi: biblioteca e, strano a dirsi, bar.

In biblioteca stacco la mente dalle problematiche quotidiane e accendo i circuiti mentali ed emozionali. Porto avanti le ricerche, organizzo quanto scritto, uso o archivio, produco. In questo luogo assolutamente magico recupero (“evoco”) tutto il materiale custodito nel serbatoio della mia interiorità. E il flusso acquista le caratteristiche di un fiume che scorre e si fissa sulla carta in un primo strato di parole e frasi (di certo il lavoro non è finito. Revisione? In un post futuro). Posso ammirare il risultato, rimaneggiare il tutto, lasciarlo decantare, ma ogni scelta viene ponderata alla luce della mia tranquillità d’animo. 

Sono lì per lavorare e non ci sono distrazioni!

D’accordo, lo confesso, una puntatina alla sala ristoro e una passeggiata fra gli scaffali me le concedo.

Il bar? Davvero? Sì, davvero! Nel corso degli anni ho sempre scelto un bar quando gli ingredienti che lo valorizzavano erano: cordialità, arredo curato, caffè e cappuccini squisiti. E una scelta eccellente di croissants, per me gli unici a meritare di essere presi in considerazione per il rito del mattino.
In ogni bar, poi, ho individuato un tavolino da trasformare nel mio ufficio. Ordino, tolgo il materiale dalla borsa e mi isolo. Se voglio farmi coinvolgere da quanto sta succedendo attorno a me – due chiacchiere, un saluto, un grazie per il giornale che mi viene passato – lo faccio, ma spesso innalzo una barriera. Ai tavoli vicini si alternano i clienti senza che me ne accorga. Lavoro con serenità, in un ambiente che non devo gestire io come invece succede a casa.

Inoltre, durante i miei viaggi, ho trovato luoghi che si prestavano a farmi da location temporanea in cui attingere alla mia parte creativa. Uno di questi è l’Albergo Etruria di Volterra con il suo giardino interno semplicemente favoloso. Un altro è Maison Resola di Borghetto sul Mincio. Entrambi questi luoghi ti invogliano a sederti e a lasciare libera la fantasia per poi raccoglierla e formare con essa un bouquet di frasi da fissare sulla carta sotto forma di racconto.


Voi, dove esprimete la vostra creatività?



Carta e penna? Soltanto?


Assolutamente no.
Assolutamente sì.

Due affermazioni che non si escludono, secondo il mio punto di vista, ma si abbracciano, si compenetrano, si completano. 





Non soltanto carta e penna. Scrivo al computer però correggo tutto in cartaceo trasformando i miei lavori in campi di battaglia percorsi da penne di vario colore, asterischi, richiami, integrazioni, punti di domanda o di esclamazione.
Carta e penna, invece, per sentire meglio il lavoro, per entrare nella scena. Uso questi strumenti quando sono in giro perché raramente ho con me il tablet, per non parlare del computer. Questo articolo, a esempio, l’ho scritto su un quaderno, con penna nera, seduta su un divanetto sotto le palme, al lago di Garda! Decisamente un’atmosfera che aiuta!
Torno alla carta e alla penna quando la scena da scrivere è difficile e la voglio, o la devo, maneggiare con cura. Scrivere, lettera dopo lettera, mi permette di assaporare meglio quanto descritto oppure di dirigere con maggior consapevolezza la scelta dei vocaboli. Sottolineare con tre, quattro righe un passaggio particolare e interessante, ti regala un appagamento maggiore, perché la carta la incidi lasciando tracce della tua soddisfazione. Contemporaneamente, cancellare, anche con violenza per il fallimento di ciò che si è scritto, rende più potente l’atto di far sparire uno sbaglio o un ripensamento.

Quale strumento è migliore? Dipende dal contesto, dal luogo in cui si lavora, dal tempo a disposizione, dall’urgenza dell’ispirazione. Una delle riflessioni migliori scritte relativamente alla mia vita e ai passi da attuare per renderla più interessante l’ho scritta una notte, in un albergo in Spagna, seduta sul bordo della vasca da bagno per non disturbare il sonno di mio marito. Supporto a disposizione? Carta igienica. Però era resistente, multistrato, delicatamente profumata e color lilla. Che lusso!




Riflessioni letterarie

Lunedì 16 aprile 2018. È mattina e anche oggi apro le imposte sul giorno nuovo per controllare se il mondo è ancora integro. Lo è, più o meno.

Inizio a risvegliare casa mia partendo dallo studio così lo sguardo ha modo di ancorarsi alle copie dei miei libri. La riflessione parte proprio da questa visione.

Sono una scrittrice, non faccio letteratura. Semplicemente scrivo. Curo ogni frase, scelgo ogni parola e lascio che il termine letteratura rimanga di dominio esclusivo di Leopardi, Manzoni, Pascoli e ogni autore eccelso che ha forgiato a suon di sillabe realtà, personaggi, emozioni e sentimenti.
Il mio è un lavoro da artigiano, da cesellatore, da manuale della carta e penna (certo uso il computer, ma spesso entro in una scena o in un dialogo da amanuense). Lavoro su un testo per giorni, mesi, in rapporto alla difficoltà, ma anche al tempo rubato alla lista degli impegni ufficiali: la famiglia, il lavoro, la casa. Entro in sintonia con i personaggi e lascio che mi raccontino le loro esistenze e i loro problemi, sia quelli da risolvere a suon di parole sia quelli che servono, per citare Cerami, “per costruire a fondo un personaggio con tutte le sfaccettature” (da Consigli a un giovane scrittore, Vincenzo Cerami, Einaudi tascabili).
Studio manuali e racconti, cerco di imparare e carpire segreti fosse anche il semplice accostamento di due vocaboli insoliti che nell’unione diventano grandi; voglio lavorare con le parole per creare atmosfere suggestive e personaggi da ricordare, il tutto con il mio stile.
Però non sono famosa e non mi guadagno da vivere con le mie pubblicazioni. Questo fa di me una non-scrittrice?

A voi rispondere oppure continuare con la riflessione





CHI HA PAURA DELLA PAGINA BIANCA?

Che domanda banale. O no?

Un foglio bianco, seppure corredato di righe, può apparire un pozzo oscuro nel quale si rischia di perdersi oppure un tappeto di prezioso broccato da tessere a nostro piacimento.

Nel secondo caso chi impugna la penna percorre tutto il foglio con la gioia disegnata in viso per il fatto di essere un creatore, un padrone alle prese con servi fedeli e pazienti (carta e penna). Tutto filerà liscio, indipendentemente dal grado di porosità del supporto su cui si scrive (e dei vari supporti converserò con voi in un post futuro).

Ritorniamo al primo caso. Paura. Il la noto quasi costantemente sul volto dei miei alunni all’inizio del loro percorso di scrittori che scavano nel proprio bagaglio di conoscenze, emozioni e fantasia. Ma non esce nulla. Ragazzini poveri? Assolutamente no! Il loro mondo interiore è di una ricchezza che lascia tramortiti, semplicemente non ne sono consapevoli (nonostante io continui a ripeterglielo).

E gli adulti? Il discorso non cambia e le domande neppure. Che cosa devo scrivere? Come inizio? Come procedo? Gli interrogativi sono gli stessi, sia di fronte a uno scritto “ufficiale”, “professionale”, sia di fronte alle parole da usare per inventare.

Due possibilità, fra le tante, che si possono adattare sia al reale sia all’immaginario.

1.       L’aspetto razionale. Uso le 5 W (Who? When? Where? What? Why? cioè Chi? Quando? Dove? Che cosa? Perché?) alle quali aggiungiamo il Come? (How?).
Le raccolgo in una mappa, corredo di informazioni e richiami, arricchisco di tutto ciò che esce in una seduta di brainstorming con me stessa, quindi trasformo in un testo.

2.       L’aspetto fantasioso. Ho un titolo? Bene, quello è l’argomento del quale parlare. Chiudo gli occhi e vedo la scena che si disegna davanti a me. Ci entro, mi diverto, sbircio i volti dei personaggi. Apro gli occhi e scrivo ciò che ho visto. Non devo inventare, è già tutto dentro di me. Sempre.

Voi, come affrontate la pagina bianca?