lunedì 10 dicembre 2018

Perché scrivere?


Sì, è lo stesso titolo dell’articolo postato il 25 giugno e no, non mi sto riciclando. L’ho copiato. Ebbene, lo ammetto. L’ho copiato da Philip Roth. È il titolo di un suo libro che mi ha colpito in biblioteca durante una delle mie peregrinazioni (leggete l’articolo del 3 dicembre!). Sono arrivata a pagina 2, poi l’ho chiuso. Non mi interessano – con tutto il rispetto e la stima per un grande autore come Philip Roth – i motivi che inducevano Roth a scrivere. O, per meglio dire, non più.

Mi spiego. Quando ho iniziato a scrivere, sia prima che dopo la pubblicazione di “Risalire la china”, sbirciavo spesso nelle biografie degli scrittori, soprattutto in quelle pagine dove, appunto, riportavano i motivi che li guidavano davanti alla pagina bianca. Cercavo la legittimazione alla mia scrittura, cercavo, in quelle righe, il permesso per collocare la scrittura su un piano professionale lasciando indietro l’aspetto del passatempo.

Le prime autorizzazioni le ho avuto da Natalie Goldberg, l’ho già detto. Poi ho seguito le parole di altri autori per trovare un punto d’appoggio alla mia decisione di approfondire il mio rapporto con la scrittura ed entrare nell’universo dei professionisti. O almeno provarci. Ci sono riuscita? Sì? No? La risposta più onesta, molto probabilmente, è: Ni. Il motivo? Ovunque sono approdata, ho trovato parole incoraggianti, frasi alle quali potevo fare affidamento, ma, alla fine, mi sono resa conto che l’unica autorizzazione e legittimazione che deve arrivare è la mia. E non sempre sono così caritatevole nei miei riguardi.

Allora, rifaccio la domanda? Perché scrivere?