Sì, è lo stesso titolo
dell’articolo postato il 25 giugno e no, non mi sto riciclando. L’ho copiato.
Ebbene, lo ammetto. L’ho copiato da Philip Roth. È il titolo di un suo libro che
mi ha colpito in biblioteca durante una delle mie peregrinazioni (leggete
l’articolo del 3 dicembre!). Sono arrivata a pagina 2, poi l’ho chiuso. Non mi
interessano – con tutto il rispetto e la stima per un grande autore come Philip
Roth – i motivi che inducevano Roth a scrivere. O, per meglio dire, non più.
Mi spiego. Quando ho
iniziato a scrivere, sia prima che dopo la pubblicazione di “Risalire la
china”, sbirciavo spesso nelle biografie degli scrittori, soprattutto in quelle
pagine dove, appunto, riportavano i motivi che li guidavano davanti alla pagina
bianca. Cercavo la legittimazione alla mia scrittura, cercavo, in quelle righe,
il permesso per collocare la scrittura su un piano professionale lasciando
indietro l’aspetto del passatempo.
Le prime autorizzazioni le
ho avuto da Natalie Goldberg, l’ho già detto. Poi ho seguito le parole di altri
autori per trovare un punto d’appoggio alla mia decisione di approfondire il
mio rapporto con la scrittura ed entrare nell’universo dei professionisti. O
almeno provarci. Ci sono riuscita? Sì? No? La risposta più onesta, molto
probabilmente, è: Ni. Il motivo? Ovunque sono approdata, ho trovato parole
incoraggianti, frasi alle quali potevo fare affidamento, ma, alla fine, mi sono
resa conto che l’unica autorizzazione e legittimazione che deve arrivare è la
mia. E non sempre sono così caritatevole nei miei riguardi.
Allora, rifaccio la
domanda? Perché scrivere?